26 agosto 2020

Wranglestone | Book Review #19

Ho letto il mio primo libro sugli zombie a tematiche LGBTIAQ+ e ne sono rimasta talmente amareggiata che ho preso appunti e quello che segue è il papiro che è uscito quando ho cercato di organizzare i miei pensieri in modo più coerente del solito.

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Non sono una fan del genere di per sé, tant’è che ho fatto fatica a iniziare This is Not a Test, di Courtney Summers, dal momento che anche lì la situazione è simile a quella presentata nel libro di cui sto per parlarvi. Vi chiederete dunque cosa ci provo a fare, se so che comunque finiranno per non piacermi questo genere di storie. Ebbene, entrambe hanno un elemento che solletica il mio interesse e mi rende curiosa: This is Not a Test pare che sia una lettura di quelle strazianti, con un colpo di scena inaspettato che dovrebbe ridurre la tua anima in pezzi, ma non ho ancora avuto occasione di scoprirlo. Penso che riprenderò in mano questo romanzo, un giorno, quando mi sarà passata l’amarezza per Wranglestone, che avrebbe dovuto trattare di tematiche appartenenti alla sfera LGBTIAQ+ in un contesto post-apocalittico dove ci sono degli zombie un po’ diversi dalle solite rappresentazioni che si vedono in giro.

Wow, bello, interessante, ho pensato. Lo recupero e lo leggo, sicuramente mi piacerà.
Mai partorito un pensiero più sbagliato, credetemi! Mi prudevano le mani dalla voglia di leggerlo e una volta arrivata alla fine, mi sono sentita talmente tanto amareggiata che non ho ancora ben deciso se orientare il mio voto sulle due o sulle tre stelline. Vorrei essere il più oggettiva possibile, ma non mi riesce così bene e presto capirete il perché.

Prendete quindi i popcorn perché we have a lot of tea to spill.

Innanzitutto, un po’ di trama: Wranglestone è un romanzo Young Adult che racconta di Peter, un ragazzino che vive in una piccola comunità di montagna, rifugiatasi in un parco naturale a seguito di un’epidemia che ha reso più di metà della popolazione quelli che in gergo chiamano The Restless Ones. Si stanno preparando a sopravvivere all’inverno, la stagione più pericolosa dell’anno e Peter, per una serie di ragioni, viene etichettato come l’anello debole della comunità. Come conseguenza gli viene assegnato il ruolo di pastore, ossia colui che ha il compito di attirare le orde di zombie e portarle lontane dalla comunità così che possano disperdersi nuovamente e non attaccare gli umani.
Il problema di fondo è che Peter è un po’ un soft at heart e sostanzialmente ha bisogno di Cooper per sopravvivere e riuscire a non peggiorare la situazione della comunità. Così i due inizieranno a lavorare insieme fino a quando Peter non realizzerà di essere più portato per un ruolo differente, uno di cui nessuno ha il coraggio di prendersi la responsabilità. Cimentandosi in questa nuova posizione che si ritroverà a occupare, Peter scoprirà molte cose, comprese verità e intrighi che lo porteranno a dubitare di tutto e tutti, ma che gli permetteranno anche di trovare la forza per salvare Cooper quando più ne avrà bisogno.
Che dire? Sembra promettente, no?

Di tratti positivi ne ho trovati solamente tre e onestamente, alla luce di quelli negativi, fanno un po’ ridere. Ma è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, quindi ci tengo a complimentarmi per l’ambientazione invernale prima di tutto. È sembrato davvero di essere in quelle zone di montagna, con le foreste a valle, di cui tanto si parla nei film e nei classici romanzi americani. Gli ambienti erano selvaggi, ma comunque realistici e vividi; mi hanno dato l’impressione di essere lì e di stare camminando per i boschi e vivendo nelle piccole baite di fortuna costruite per evitare invasioni da parte degli zombie.
Questo mi porta poi a complimentarmi anche per l’atmosfera, che spesso e volentieri è tesa e pesante. Nonostante siano passati più di una decina d’anni, nessuno ha fatto l’abitudine a quella situazione terribile e la tensione va ad accumularsi di volta in volta, a prescindere dal sistema costruito all’interno della comunità. C’è paura e c’è diffidenza, soprattutto quando si manifesta l’anello debole, e anche questo è un tratto positivo perché c’è una rappresentazione molto sommaria ma abbastanza realistica di come una comunità funzionerebbe in una situazione simile. Peccato che non sia stata approfondita e che molte cose siano state date per scontate quando avrebbero avuto bisogno, in realtà, di un minimo di chiarimento perché il lettore potesse avere un quadro generale ben più preciso e dettagliato che rendesse l’esperienza di lettura più ricca.
C’è poi stata anche un’ottima rappresentazione dell’atmosfera opprimente, spesso confusa per via dell’ignoto, dell’inaspettato e del senso di smarrimento che si può provare quando ci si cimenta in un compito difficile e nuovo e per il quale non si è portati. Le scene negli spazi chiusi sono state particolarmente difficili da leggere senza saltare le righe o i paragrafi, perché il senso di claustrofobia traspariva dagli atteggiamenti dei protagonisti e dai loro pensieri intrusivi.
Ultimo tratto positivo di questo romanzo per giovani adulti è sicuramente relativo alla tematica LGBTIAQ+: l’omosessualità del protagonista non è un evento eccezionale. È considerata una cosa naturale, che non ha bisogno di chissà quale spiegazione o quale coming out. Peter viene trattato come una persona normalissima alle prese con il suo primo amore, non viene trattato differentemente e i suoi sentimenti vengono discussi e validati con tutta la naturalezza del caso. Non c’è un momento in cui avviene quel click nella mente dove ci si rende conto che il protagonista è gay. Semplicemente lo si sa a prescindere dalla trama, a prescindere dal suo modo di fare, dai suoi pensieri. È una sensazione, una vibrazione che emana, ma che allo stesso tempo passa in secondo piano perché non è della sua presa di coscienza nei confronti dei sentimenti che prova verso un altro ragazzo, ciò di cui il libro vuole parlare. È parte del protagonista, della sua vita e del suo modo di comportarsi e pensare, ma allo stesso tempo non è niente di alieno, niente che stona se messo a confronto con gli altri personaggi e questo è un elemento ben degno di nota. Forse l’unico di cui non ho un contro o un “ma” da aggiungere.

Passando invece a tutto quello che non ha funzionato, be’… sappiate che sarà un discorso molto lungo.

Partendo dal contenuto effettivo del libro, devo riconoscere esserci stata molta confusione. Arrivata al 41% del romanzo, io ancora non avevo idea di cosa stesse succedendo, di quale sarebbe stato il filone principale che avrei seguito, dove il romanzo sarebbe andato a parare. Non c’è una spiegazione chiara di quello che è successo alla popolazione, di come si è sviluppato il virus che li ha trasformati in zombie, di come siano arrivati a quel punto o di come sia la situazione negli altri posti. Ci sono tanti piccoli elementi che vengono sparsi in giro per i capitoli, ma che nell’insieme non fanno un quadro completo e approfondito, quasi come se l’autore si fosse dimenticato della loro esistenza.
Non è nemmeno chiaro che tipo di creature siano questi zombie, perché dapprima li rappresentano come amebe imbecilli, poi come individui capaci di imitare gli umani e, di conseguenza, ingannarli per poterli uccidere e infine come morti coscienti tornati in vita per… boh. Ragioni che non vengono chiarite né indagate. Manca purtroppo una rappresentazione omogenea e lineare delle creature che dovrebbero essere il centro della storia di per sé. Senza contare, poi, i monologhi trascinati quando i protagonisti si ritrovano faccia a faccia con uno di loro! Shakespeare in confronto era un ermetico. E qui mi domando: l’utilità? Sembrava quasi una scena presa dai cartoni animati, dove i cattivi aspettano pazientemente che le eroine si siano trasformate e abbiano detto il loro sproloquio a effetto prima di iniziare a combattere.
Allo stesso modo mi chiedo cosa serva avere armi scariche se si è consapevoli di essere a rischio di attacco. A cosa serve creare festival all’aperto, dove si è vulnerabili, e poi impazzire nel momento in cui un’orda di zombie arriva e attacca perché attratta dal rumore. Però in tutto questo alle creature si parla con spavalderia, come se l’essere umano, lo stesso che li attira con luci e rumori e che porta le armi scariche appese alla cintura, fosse nettamente superiore di coloro che possono abbattere chiunque con un morso. Va bene. Ha senso, mi dicono.

Le vicende si susseguono dunque prive di filo logico. Non c’è una relazione causa-effetto, non c’è una linea temporale ben chiara e spesse volte da un capitolo all’altro si salta di palo in frasca, senza un ordine cronologico. Piuttosto che un romanzo, a me ha dato l’impressione di essere una raccolta di slice of life a volte collegate l’una all’altra, a volte storie a sé stanti.
Ci sono due colpi di scena in tutto il libro: uno è completamente insensato e arriva nel momento sbagliato. È proprio costruito nel modo più errato e casuale possibile, quindi comporta un enorme WFT?! che si fa fatica a trattenere – vi ho avvisati. Non ha davvero senso e viene gestito con i piedi per introdurre un argomento che porta con sé un personaggio diverso. Bastava quest’ultimo a tenere in piedi quella storyline, invece no; hanno dovuto esagerare e il risultato è stato un flop.
Il secondo colpo di scena invece è un po’ confuso, ma penso che sia l’effetto che si vuole volutamente generare nel lettore. Mi ha dato l’impressione di aver rubato le modalità e il concept di fondo da uno dei film di Tim Burton, però è stato sicuramente migliore del primo. Forse avrei seminato qualche indizio in più qui e là, giusto perché a primo impatto può sembrare una cosa campata in aria, mentre se ci si pensa con il senno di poi, qualche elemento c’è già dalle prime pagine.

Infine i personaggi e i dialoghi, che sono la nota più dolente di tutto quanto appena elencato. Se siete arrivati fin qui, congratulazioni. Avete una santa pazienza, oppure siete solo davvero curiosi di leggere recensioni negative nella speranza di trovare qualcosa di scandaloso. Too bad for you, qui di scandaloso non c’è nulla, perché purtroppo i personaggi e le vicende sono talmente piatti da essere facilmente dimenticabili.

I personaggi non sono affatto definiti, né quelli principali né quelli secondari. Mancano di caratterizzazione sia fisica che psicologica e purtroppo non è possibile empatizzare con nessuno di loro e non crescono né cambiano nel corso del romanzo, il che è inaccettabile, a mio parere. Questo comporta anche una mancata chiarezza nelle dinamiche della comunità, quelle più profonde e relative all’organizzazione della stessa. I personaggi al vertice sono facilmente confondibili, non è chiaro come si relazionino l’uno all’altro e soprattutto nessuno di loro parla con una grammatica corretta. Capisco il bisogno di voler mostrare un popolo un po’ indietro perché vista la situazione è impossibile istituire una scuola e un sistema scolastico, ma arrivare a fare errori di grammatica base ogni due parole… be’, figli miei chi vi ha cresciuti? È decisamente poco realistico e molto fastidioso da vedersi e da leggersi, perché almeno le nuove generazioni dovrebbero avere un minimo di cultura, considerando che i genitori hanno fatto in tempo a vivere nel mondo pre-zombie. Ok, non tutti hanno avuto accesso all’educazione, ma ritengo altamente improbabile che proprio nessuno dei personaggi coinvolti sia in grado di mettere insieme una frase di senso compiuto senza errori. Di conseguenza i dialoghi sono stati difficili da seguire e comprendere, senza contare che spesse volte i discorsi instaurati tra due personaggi prendevano direzioni diverse e i botta e risposta non combaciavano quasi mai. Spesso uno parlava di quanto fosse pericolosa la foresta e l’altro rispondeva di quanto tempo avesse impiegato per trovare il coraggio di invitarlo al Festival di inizio autunno. Anche questo, molto fastidioso.

Infine due cose che mi hanno infastidita parecchio più o meno per le stesse ragioni: snowflake e il romance.
Entrambe le caratteristiche sono arrivate a farmi storcere il naso. Per quel che riguarda la storia d'amore, non c’è un momento in cui Peter si rende conto di provare sentimenti forti per un altro personaggio, non c’è chimica tra i due e non hanno niente in comune. Se paragonato all’interesse amoroso, sicuramente Peter ha una profondità spirituale che però non viene ricambiata dall’altra parte. Sembra quasi che l’interesse amoroso stia solo cercando di svuotare le palle ormai blu e basta. Peter prova un attaccamento particolare nei confronti di questo personaggio, mentre l’altro pare dargli il contentino. È un elemento molto melodrammaticoinutilmente melodrammatico – che poteva secondo me essere benissimo eliminato. Ci sono mille altri modi per parlare dell’omosessualità di un personaggio, non è necessario infilarlo in una relazione quando non ci sono le carte perché si sviluppi propriamente.
Snowflake invece è la cosa più fastidiosa di tutto questo romanzo. Al termine di esso non viene spiegato né giustificato. Viene lanciato qui e là nei capitoli senza una ragione, senza una spiegazione e risolto in due, forse tre righe ogni volta; infine viene dimenticato fino a quella successiva, quando l’autore si ricorda di avere in ballo qualcosa di simile. Non ha assolutamente senso se messo in relazione con il personaggio a cui viene presentato il problema e rimane un punto di domanda, un quesito irrisolto anche a lettura conclusa.

Quindi, tirando le somme, penso che il libro abbia potenziale, perché comunque tratta di argomenti che l’autore cerca di presentare in modo alternativo e originale. Peccato per il fattore inesperienza, che ha compromesso un po’ tutta l’esperienza e reso il romanzo abbastanza confusionario. Si vede che è un romanzo d’esordio ancora molto immaturo ed è stato trattato con superficialità dall’editore, non c’è cura nella storia e non c’è alcun lavoro di lima o di perfezionamento/approfondimento come ci si aspetterebbe di trovare quando si lancia sul mercato un nuovo autore.

Suppongo che queste 2.3K parole di recensione siano abbastanza self-explanatory e in qualche modo rendano i miei dubbi un po’ più chiari: questo libro ruota attorno alle due stelline su cinque sia soggettivamente che oggettivamente. E un po’ mi dispiace non poterne dare di più, ma non c’è stata omogeneità e non c’è stato coinvolgimento emotivo. Peccato, perché sarebbe stata una storia con dell’ottimo potenziale. Non penso, perciò, che recupererò altri romanzi futuri dell’autore.

Detto questo io vi saluto, perché la recensione si conclude qui. Fatemi sapere se l’avete letto e cosa ne avete pensato, ma soprattutto se ci sono romanzi sugli zombie che vale la pena leggere. Io sono aperta a nuovi suggerimenti e nuove esperienze.

 

A presto,

Sam.

1 commento:

  1. […] emotivo per la storia e il suo andamento… Insomma, molto povero e trovate la mia recensione completa qui, se volete dei pensieri più chiari e approfonditi. Non li metto in questo paragrafo, altrimenti […]

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