Oggi parliamo di un romanzo che ha le sue fondamenta nel folklore
giapponese e che racconta una versione alternativa della leggenda di Yamauba.
La storia di Yamauba è di per sé inquietante. Si narra sia una strega, una
donna cannibale che si nutre attraverso due bocche, una nascosta sulla nuca dai
lunghi capelli neri e sporchi. Indossa un kimono rosso tutto strappato e lercio ed è in
grado di cambiare aspetto per attirare possibili prede nella sua dimora.
Ha preso diverse forme nell'arte giapponese, ma bene o male non si è
allontanata tanto dall'immaginario popolare, salvo per alcune caratteristiche
che sono state poi riportate all'interno di tarde opere teatrali ed Emanuela ne
ha approfittato per scrivere la sua versione di questa leggenda, mettendo
insieme gli elementi più conosciuti e ripetuti nelle varie versioni.
Questo romanzo è una fiaba oscura, molto cruda e crudele. Emanuela ci
racconta di come la sua Yamauba si ritrova a essere esiliata dal proprio
villaggio dopo che il marito le fa credere di aver ucciso il suo bambino. Per
la disperazione, la donna si ritrova a vagare per le montagne, dove perde il
ricordo dell'accaduto e la sanità mentale.
È un lento declino verso la follia, il suo. Emanuela ci racconta quanto
poco basti per diventare preda del dolore e cambiare, trasformarsi in una
versione peggiore di noi stessi per far fronte alle perdite difficili, al non
essere stati abbastanza per qualcuno.
Quella di Yamauba è una ricerca straziante, quella della sua identità ora che è stata strappata alla sua casa e al suo villaggio, ma anche quella del suo ruolo di madre, che ha perduto per colpa di un inganno. Yamauba cerca suo figlio e cerca un modo per affrontare il dolore e diventa preda degli yōkai della montagna, finendo per perdere completamente sé stessa nella convinzione che questo l'aiuterà a ritrovare la pace interiore perduta.
Il romanzo
di Emanuela è crudele, perché la tortura che subisce Yamauba è il riflesso
della spirale della follia in cui una perdita simile è capace di gettare l’essere
umano. L’autrice non risparmia a nessuno la portata del peso psicologico causato dalla morte di un
figlio e la arricchisce con dettagli macabri e raccapriccianti. Se siete deboli
di stomaco, questo non è il libro che fa per voi.
Contrapposto a Yamauba c’è Takara, che cresce nella speranza di diventare un
uomo virtuoso ma che finisce per intraprendere la strada del samurai, per via
del volere del padre.
Takara è un personaggio dolcissimo e stupendo, coraggioso e giusto. È anche
umano, perché commette errori e cerca di porre rimedio là dove è possibile. Non
sempre ci riesce, ma almeno ci prova. Segue un codice morale rigido, nonostante
allo stesso tempo si ponga quesiti e si domandi che cosa conti davvero, che
cosa possa fare, lui, per cambiare il mondo in meglio.
Takara è anche la chiave di tutto il romanzo, perché senza di lui nessuno
degli altri personaggi troverebbe la via che è loro propria.
Takara e Yamauba sono i due livelli di narrazione attorno ai quali si dipana
questa storia. Nonostante le ambientazioni molto differenti, la prima più
allegra e colorata, rispetto alla seconda più cupa e grigia, entrambe le linee narrative
presentano una malinconia di fondo che è difficile scrollarsi di dosso una
volta conclusa la lettura.
È una storia breve ma intensa, permeata di sentimenti principalmente
negativi che non trovano sfogo: perdizione, rabbia, dolore, invidia e avarizia, gelosia. Emanuela non
ha paura di affrontare e raccontare i lati più oscuri dell’animo umano e lo fa
con riverenza. Come sempre, la sua storia è delicata ma profonda, ed esplora la
dimensione più intima della psicologia dell’uomo.
Mischiando folklore ed esoterismo, Emanuela crea e costruisce una storia
favolosa, di quelle che è difficile dimenticare e nelle quali è facile
immergersi completamente, prestando anche attenzione ai dettagli della vita in un
Giappone medievale lontano.
Il suo rapporto con la natura, la maestria con cui ci racconta della vita
in un piccolo villaggio ai piedi della montagna e la bravura di questa donna nel
mettere in piedi atmosfere così coinvolgenti, sono utili a rendere l’esperienza
di lettura il più inclusiva possibile. È infatti molto facile respirare gli
ambienti in cui si muovono i nostri protagonisti – e i protagonisti stessi – e sentirsi
parte di quella cultura, di quell’immaginario.
Emanuela è molto brava a raccontare della natura, del rapporto che ha con l’uomo
e il modo in cui, in un modo o nell’altro, trionfa sempre in nome della giustizia.
L’unico aspetto che non ho apprezzato è stato il suo metodo di show and
tell, attraverso cui ha presentato una serie di termini tecnici e vocaboli in giapponese
e subito dopo inseriva la definizione. A volte ho avuto l’impressione di
leggere un paragrafo accademico, forse da un dizionario, e questo mi ha fatto storcere
un po’ il naso. Sono infatti una fan del show, don’t tell, quindi avrei
apprezzato più un giro di parole per far capire al lettore di che cosa stesse
parlando, piuttosto che avere “la pappa pronta” nella riga successiva. Trovo che
avrebbe fatto un figurone anche con l’atmosfera complessiva della storia e che
sarebbe stato molto più in linea con lo stile di scrittura di Emanuela, sempre
molto evocativo.
Però questo non è stato un difetto della lettura, né del romanzo di per sé.
È solo una preferenza personale che ci tenevo comunque a segnalare, perché
trovo che altrimenti questo libro sarebbe stato molto più che perfetto,
nonostante quei due elementi per i quali Emanuela si è avvalsa di licenza
poetica (e che spiega nelle note a fine romanzo, quindi non sarò io a tediarvi).
Detto questo, il romanzo è superconsigliato. Quattro stelline piene e
abbondanti non gliele toglie nessuno. E fidatevi: una volta che avrete
conosciuto Emanuela e le sue storie, non sarete in grado di saziarvene. Il vostro
portafogli piangerà, ma la vostra sete di lettura verrà soddisfatta a pieno,
per ogni libro scritto da lei che divorerete.
Grazie per essere arrivati fino a qui, amici lettori. Spero che questa recensione vi abbia incuriosito e che deciderete di dare una chance non solo a questo libro, ma anche a questa autrice, perché merita.
Vi mando un enorme bacione e vi do appuntamento alla prossima. Ciao!
Sam.
Mi hai lasciato senza fiato. È vero che non et un libro per tutti. È vero che è difficile comprendere l'abisso... Ma quando riesci a guardarci dentro, capisci che non fa poi così paura. Grazie per le tue bellissime parole.
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